Imparare dalle masse.
A pochi giorni dalla scadenza elettorale del 4 dicembre, un primo risultato c’è già stato: il sostanziale fallimento della campagna per il “NO sociale”. La campagna è fallita perché non è riuscita a coagulare le varie anime del movimento, perché non è riuscita ad incidere nella sostanziale indifferenza della maggior parte del proletariato e dei ceti popolari di fronte ad ogni scadenza elettorale, e soprattutto di fronte a questa; la campagna è fallita soprattutto perché ha coinvolto tanti attivisti in uno scontro senza sbocco e che, rimanendo sul terreno della lotta elettorale, porterà alla sconfitta del fronte anti Renzi.
I promotori della campagna non si sono posti il problema di coinvolgere le masse a partire dal loro istintivo rifiuto del gioco elettorale, non si sono impegnati nella difficile costruzione di una prospettiva politica che uscisse fuori dal consunto politicantismo democratico, hanno rifiutato di imparare dalle masse. Questo è il tradizionale atteggiamento degli autoritari di destra e di sinistra, che vedono nei ceti popolari l’eterno fanciullo cui insegnare le buone maniere e, se necessario, correggere con la repressione. Quando il popolo si rifiuta di svolgere il ruolo di re di cartapesta nella farsa della sovranità popolare, questa è l’abitudine peggiore per i vari attori del salotto democratico, dai padroni di casa ai valletti antagonisti.
Perché il gioco funzioni, è necessario nascondere il fatto che il SI vincerà a prescindere dal risultato elettorale, è necessario nascondere questa verità e privarsi di questo strumento di conoscenza della realtà.
La vittoria del SI.
Perché il SI vincerà. Quando Matteo Renzi parla di accozzaglia riferendosi al fronte del NO, non segnala solo una contraddittoria alleanza che va dagli antagonisti alla Lega Nord, segnala anche un’incapacità (o una mancanza di volontà di questo fronte ad opporsi realmente alla riforma costituzionale. Il Comitato per il No nel referendum sulle modifiche alla Costituzione, costituitosi il 30 ottobre 2015, e che vede presidenti Alessandro Pace e Gustavo Zagrebelsky, non è riuscito a raccogliere le firme necessarie a lanciare il referendum di iniziativa popolare, nonostante ancora oggi il NO risulti in testa in tutti i sondaggi. Il referendum quindi si tiene per la sola iniziativa dei parlamentari contrari alla riforma.
Anche nel caso di vittoria del NO, comunque, è tutt’altro che scontato che la riforma costituzionale torni nel cassetto. Gli avvenimenti di questi anni in Grecia e in Turchia dovrebbero ammonire circa il rispetto della cosiddetta volontà popolare da parte delle classi dominanti. In Grecia, il referendum sulle misure imposte al popolo greco dall’Unione Europea, è stato ignorato dallo stesso governo che lo aveva voluto e sostenuto. In Turchia, la vittoria elettorale del partito HDP, legato al movimento del polo curdo, non è riuscita ad impedire la svolta autoritaria imposta dal presidente Erdogan con l’appoggio dell’Unione Europea e della NATO. Proprio la Turchia ci dà l’esempio di un governo, di una classe dominante pronti a spingere le cose fino alla guerra civile per imporre i propri progetti.
Il SI al referendum è appoggiato, oltre che dal governo e dal Partito Democratico, dai vari settori della classe dominante, dai circoli militari, dall’alta burocrazia statale, dalla Chiesa. È possibile che questa gioiosa macchina da guerra, capace di una geometrica potenza di fuoco, si lasci fermare da dei pezzetti di carta su cui è scritto NO? Nemmeno il più ingenuo esaltatore del sistema democratico può crederlo veramente. Quindi, nascondere questa realtà, nascondere il fatto che saranno usati tutti i mezzi, legali e illegali, per imporre la volontà della classe dominante, nascondere il fatto che già più di una volta l’Italia si è trovata di fronte alla minaccia di svolte autoritarie, svolte che sono state sconfitte nelle piazze e non nelle urne, significa privare gli attivisti, privare il movimento di strumenti di conoscenza importanti e, al tempo stesso, lasciarli disarmati di fronte ad una sconfitta simile a quella del referendum greco, che appare prevedibile nonostante le indicazioni dei promotori della campagna per il NO sociale. Ora privarsi degli strumenti di conoscenza, in politica, significa privarsi degli strumenti per operare nella realtà. Se non siamo in grado di comprendere i profondi meccanismi sociali che si riverberano nelle trasformazioni delle istituzioni, ancor meno saremo capaci di dominarli, di usarli ai fini della Rivoluzione Sociale.
Le ragioni profonde della svolta autoritaria.
Uno degli aspetti che mi ha lasciato più dubbioso nella campagna per il NO è che nessuno, compresi i più autorevoli costituzionalisti, ha posto il problema della legittimità di una riforma costituzionale voluta dal governo e da questi imposta con il voto di fiducia. Nella tradizionale divisione dei poteri, legislativo, che appartiene al Parlamento, esecutivo, che appartiene al Governo, e giudiziario, che appartiene alla magistratura, i temi attinenti alle riforme costituzionali, così come quelli attinenti le leggi elettorali, dovrebbero essere di esclusiva competenza del Parlamento. Nelle riforme precedenti, nonostante l’aperto appoggio dei governi in carica, si era rispettato l’aspetto formale dell’iniziativa parlamentare. In questo caso la riforma viene promossa dallo stesso governo, e fin dalla sua nascita segnala il ruolo ancora più centrale che il governo finisce per avere nel sistema costituzionale italiano.
Quali sono le cause profonde di questa trasformazione istituzionale? Una narrazione abbastanza diffusa fa risalire le motivazioni della riforma costituzionale all’affermazione dell’ideologia liberista, alla sottomissione degli Stati nazionali alla volontà dei grandi gruppi finanziari; secondo questa narrazione: “J. P. Morgan e la BCE ne hanno auspicato la nascita e i vari governi succedutisi, Berlusconi, Monti, Letta e ora Renzi hanno tentato, in linea con questo diktat, di sabotare la Costituzione per liquidare definitivamente la democrazia, il diritto di autodeterminazione dei popoli e ogni forma di democrazia di prossimità”, come si legge in un appello per il NO sociale.
Anche in questo caso, l’abbandono degli strumenti di conoscenza porta all’abbandono del terreno della critica proletaria dell’economia, all’abbandono degli obiettivi rivoluzionari. In realtà è nelle profondità del processo di produzione capitalistico che matura l’esigenza di un governo autoritario. La contraddizione tra aumento del saggio e della massa di plusvalore estorto alla classe operaia si scontra con la diminuzione del saggio di profitto ed impone alle èlites dominanti di ridurre il prezzo della forza lavoro al di sotto del suo valore. Questo è l’arcano della macelleria sociale di questi ultimi anni ed in questa macelleria lo Stato non è la vittima, assieme al proletariato e ai ceti popolari, ma il regista.
Il modo di produzione capitalistico, con la sua ideologia, l’economia politica, nasconde il rapporto di dominio a cui è sottoposta la stragrande maggioranza dell’umanità. Quando, sotto la spinta congiunta della caduta del saggio di profitto, della crisi economica e delle lotte sociali, il velo cade, la violenza delle istituzioni a difesa dell’ordinamento economico basato sul profitto di pochi appare in tutta la sua potenza. La narrazione liberista nasconde il crescente intreccio fra grande capitale industriale, aristocrazia finanziaria ed oligarchia politica, nasconde il ruolo che esercita lo Stato nel mantenimento del capitalismo, nasconde soprattutto il fatto che questo non può essere superato, non può essere abbattuto senza abolire la proprietà privata e senza abolire nel contempo lo Stato.
Tutte le ideologie che hanno tentato di eludere il problema dell’abbattimento dello Stato si sono prima o poi perse nella difesa dell’esistente. Non può esistere capitalismo senza Stato, non può esistere Stato senza capitalismo, ed entrambi non possono esistere senza lo sfruttamento crescente della classe operaia, senza l’accelerazione dei ritmi di lavoro e conseguentemente di vita, senza la crescente alienazione. Il dominio del capitale e dello Stato si risolve, prima o poi, nella guerra civile; nessuna elezione ha mai fermato questa dinamica. Il solo limite all’oppressione ed alla violenza del governo è la forza che il proletariato ed i ceti popolari, i movimenti di lotta sapranno opporgli. L’astensione apre la strada all’unità dei movimenti di lotta e all’azione diretta nelle piazze.
Tiziano Antonelli